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Immagine del redattoreSimone Capra

RIFIUTI DI MATERIE PLASTICHE COME AGGREGATI PER CALCESTRUZZO: È UNA STRADA PERCORRIBILE?

Nel corso delle ultime venti - trent’anni la plastica è stata sicuramente uno dei materiali che più ha rivoluzionato la nostra vita. La troviamo ormai ovunque: nei mobili di casa, negli apparecchi elettronici, nei dispositivi medici. Proviamo ad immaginare come sarebbero pesanti i nostri zaini se potessimo bere acqua e bevande solo dalle bottiglie di vetro, oppure come sarebbero scomodi i nostri picnic senza i contenitori per alimenti in HDPE o le posate in plastica! Dall’altra parte però non possiamo dimenticare che la plastica, pur essendo un materiale dalle benefiche proprietà termiche, meccaniche e di resistenza chimica, non è biodegradabile, ed ha effetti dannosi sull’ambiente: tutti noi abbiamo visto immagini di fiumi di plastica galleggiare nel mare, essere riversate sulle spiagge, intasare le condotte idriche e fognarie, tant’è che negli ultimi dieci anni borse e posate di plastica sono state man mano sostituite da materiali in polimeri compostabili, biodegradabili, le bottigliette dell’acqua in PET iniziano ad essere in PET riciclato, si stanno implementando nuove tecnologie per il recupero della frazione in plastica dei contenitori per bevande in poliaccoppiato. Oltre a tutto ciò, l’incenerimento di materiale plastico non è una soluzione ambientalmente sostenibile, perché si libererebbero diossine, monossido di carbonio e altri prodotti di emissione tossici. Pertanto, la domanda che ci si può porre è: si potrebbe utilizzare la plastica come materiale per aggregati artificiali nel calcestruzzo? Potrebbe essere la plastica un sostitutivo degli aggregati di origine naturale? Tantissimi ricercatori si sono posti questa domanda, la cui risposta è: Si, è possibile!



Il materiale più studiato a tal scopo è stato senza dubbio il polietilentereftalato (il PET delle comuni bottiglie di plastica), ma anche il polivinilcloruro (PVC, spesso impiegato negli infissi e nelle persiane), il polietilene ad alta densità (HDPE, quello dei tappi delle bottiglie in PET) sono stati oggetto di numerose pubblicazioni, pure la plastica derivante dai rifiuti elettronici (RAEE) è stata studiata. Iniziamo quindi il nostro viaggio…


Trattamento meccanico


Indipendentemente dal tipo di polimero utilizzato nella plastica, la prima operazione necessaria è un trattamento di pulizia e rimozione dei contaminanti (polvere, carta, etichette, vetro, legno, ceramica) che è possibile trovare in mezzo la plastica: si tenga presente che molti studi hanno utilizzato materiale plastico proveniente dai locali centri di raccolta, e gli elementi sopra citati costituiscono tutti fattori che penalizzerebbero le prestazioni meccaniche. Le comuni bottiglie in plastica nei centri di lavorazione sono compresse e raggruppate sotto forma di balle, le quali contengono PET sporco, contaminato da altri materiali non PET che deve essere rimosso. In secondo luogo, è necessaria una riduzione dimensionale del materiale per poterlo utilizzare nel calcestruzzo, sia come forma, al fine di ottenere una vera e propria polvere, dei granuli (il polietilene di recupero è sotto forma granulare), dei pellet (il poliuretano di scarto viene pellettizzato) o delle scaglie, sia come granulometria.



Un pretrattamento particolare dei rifiuti in PET è stato sperimentato da N. Saikia e J. de Brito [1] i quali, per ottenere un aggregato tipo pellet ed uno tipo scaglie hanno introdotto, dopo un trattamento meccanico del materiale, un processo di pulizia e separazione del PET costituito da una sequenza di metodi chimico-fisici. Per prima cosa, dopo un trattamento termico e di fusione del rifiuto, il materiale è stato estruso e poi granulato in acqua. La miscela di granuli è stata poi separata dall’acqua via vibrazione e successiva centrifugazione. A.M. Mustafa Al Bakri e altri [2] hanno prodotto aggregati in HDPE modificato per trattamento termico oltre il suo punto di fusione, e poi raffreddato a temperatura ambiente: il trattamento termico genera dei cambiamenti nella natura chimica, microstrutturale e nelle caratteristiche fisiche del materiale plastico.


Trattamento chimico superficiale


Alcuni ricercatori, attraverso diversi trattamenti con sostanze chimiche, hanno cercato di modificare la tessitura superficiale del materiale plastico che hanno testato nel calcestruzzo per migliorarne le proprietà di adesione ad esso. T.R. Naik e altri [3] hanno studiato gli effetti di un trattamento del materiale plastico con agenti ossidanti (ipoclorito di sodio, la comune candeggina) per migliorarne le capacità di adesione alla matrice cementizia, generando delle aree superficiali chimicamente reattive (polari e idrofile, quando la plastica è generalmente apolare e idrorepellente) che possano reagire attivamente con il cemento per migliorare le prestazioni meccaniche del calcestruzzo. Z. H. Lee et altri [4] hanno invece utilizzato perossido di idrogeno e ipoclorito di calcio per trattare gli aggregati di natura plastica, e soprattutto quest’ultimo si è dimostrato molto efficace nel modificare la tessitura superficiale del materiale, rendendola più rugosa e dalla forma molto più irregolare, di modo da aumentarne la superficie di contatto e la resistenza allo scorrimento, causando una diminuzione del valore di slump e della lavorabilità.


Lavorabilità


L’introduzione di materiale plastico influisce sia sulla quantità d’acqua libera nella matrice cementizia sia sulla sua lavorabilità, che può aumentare/diminuire all’aumentare del quantitativo di aggregati derivanti da materie plastiche a seconda delle loro proprietà fisiche (specialmente forma, dimensioni, tessitura superficiale) e chimiche, rapporto acqua/cemento, quantitativo di pasta di cemento. Vale a dire che miscele di calcestruzzo con aggregati di dimensioni maggiori, più spigolosi e meno tondeggianti e non uniformi sviluppano un valore di slump minore rispetto a quello di calcestruzzi con aggregati di dimensioni minori, lisci, tondeggianti e più uniformi. Da una parte, a causa dell’aumento dell’area superficiale e della forma irregolare, la lavorabilità del calcestruzzo confezionato con aggregati di riciclo di materie plastiche è inversamente proporzionale al loro quantitativo (Z.Z. Ismail e altri [5], C. Albano e altri [6], K. S. Kumar e altri [7]). Dall’altra, alcuni ricercatori hanno scoperto un miglioramento della lavorabilità del calcestruzzo con aggregati plastici a causa proprio della loro idrofobia, che genera una sorta di sfera di molecole d’acqua libera, intorno alla loro superficie, utili a diminuire l’attrito e migliorare lo scorrimento tra la pasta di cemento e l’aggregato in plastica. Per questa ragione Y-W.Choi e altri [8] hanno ottenuto valori di slump doppi con calcestruzzi aventi il 75% di aggregati di origine plastica rispetto a calcestruzzi “normali” (a a/c = 0.53). Un piccolo quantitativo di materiale plastico non influisce sulla lavorabilità delle miscele di calcestruzzo: M. Frigione [9], utilizzando il 5% di aggregati plastici (derivanti da bottiglie in PET non lavate) in sostituzione dell’aggregato fine naturale, non ha riscontrato alcuna perdita di lavorabilità né segregazione significative nelle miscele di calcestruzzo confezionate, risultati confermati in uno studio successivo (M. Frigione e altri [10]) dove la percentuale di sostituzione è stata spinta fino al 50%. Risultati simili sono stati ottenuti da A.M.K. Najjar e altri [11] su calcestruzzi contenenti il 25% di aggregati di riciclo in PVC.


Densità del calcestruzzo fresco e indurito


Poiché la densità in mucchio dei materiali plastici è nettamente minore di quella degli aggregati naturali (HDPE: 930–970 kg/m3, PET: 1270 kg/m3 contro 2450-2570 kg/m3), maggiore è il quantitativo degli aggregati artificiali minore è la densità del risultante calcestruzzo allo stato fresco e indurito, e tale riduzione è maggiore quando vengono impiegati aggregati dalle dimensioni maggiori e dalla forma a scaglie.


Proprietà meccaniche


La maggior parte degli autori ha registrato nelle loro ricerche una graduale riduzione della resistenza a compressione, flessione e trazione all’aumentare del contenuto di aggregati di natura plastica, sia sostitutivi della frazione fine sia di quella più grossolana. La composizione chimica degli aggregati derivanti da materie plastiche è completamente diversa da quella degli aggregati naturali: la plastica è un composto organico, praticamente apolare, che quindi non può generare legami idrogeno con le particelle di cemento. I meccanismi che influenzano negativamente le resistenze a compressione sono prevalentemente tre:

  • Diminuzione dell’adesione tra la superficie degli aggregati di natura plastica e la pasta di cemento all’aumentare della dimensione delle particelle di materia plastica. Inoltre, la natura idrofoba della plastica potrebbe contribuire a ridurre l’apporto d’acqua per l’idratazione del cemento (Z.Z. Ismail e altri [5]).

  • Debolezza della zona di transizione tra l’aggregato di natura plastica e la pasta di cemento (N. Saikia e altri [1]). Questa peculiarità è più pronunciata in calcestruzzi contenenti aggregati in PET tipo scaglie rispetto a quelli con aggregati tipo pellet, ed è direttamente proporzionale alla perdita di lavorabilità (il maggiore rapporto acqua/cemento necessario per mantenere la lavorabilità comporta un maggiore assorbimento d’acqua ed una maggiore porosità del calcestruzzo).

  • Maggiore contenuto di acqua di bleeding (per lo più intorno le particelle di materiale plastico) che indebolisce il legame tra gli aggregati di natura plastica e la matrice cementizia (M. Frigione [9]).

Alcuni studi e ricerche però dimostrano che piccoli quantitativi di aggregati di materiale plastico non penalizzano significativamente le resistenze meccaniche. S. Osubor e altri [12] non hanno riscontrato differenze rilevanti nella resistenza a compressione di calcestruzzi confezionati con il 5% di aggregati plastici a base PET, dalla forma a scaglie e 3 mm di lunghezza, dosati al 5% in sostituzione di quelli naturali. Risultato pressoché identico è stato ottenuto da M. Frigione [9] dosando un 5% di aggregati da PET in calcestruzzi confezionati con basso rapporto acqua/cemento (0.45). B. Balasubramanian e altri [13], sostituendo il 15% di aggregati naturali con aggregati artificiali provenienti dalla frantumazione dei circuiti stampati, hanno ottenuto resistenze a compressione maggiori del 27%: i circuiti stampati sono costituiti prevalentemente da silicio (63%) e rame (36%), elementi che possono contribuire positivamente ad un incremento delle resistenze.

Tamrin e Nurdiana J. [14] hanno testato degli aggregati artificiali di HDPE a struttura lamellare per produrre calcestruzzi a 10MPa da potersi utilizzare per muri non strutturali, basamenti per sottofondi stradali, autobloccanti per pavimenti, pannelli murari e sezioni in calcestruzzo per camminamenti. Soprattutto per costruzioni prefabbricate, miscele di calcestruzzo con HDPE possono essere molto utili per ridurre i carichi a cui sono sottoposte le strutture e contribuire ad un maggior efficientamento energetico delle strutture, sfruttando la capacità isolante della plastica. In seguito ad un trattamento chimico con composti ossidanti (ipoclorito di calcio in particolar modo), tra la pasta di cemento e la materia plastica si è creato un legame molto più forte, poiché il trattamento ossidativo ha reso la superficie del materiale plastico più rugosa, sconnessa, più idrofila e polare, aumentandone anche l’area superficiale (Z.H. Lee e altri [4]).


Duttilità


Il calcestruzzo, da materiale dal comportamento fragile quale è, può diventare invece molto più duttile e resistere meglio ai carichi che deve sopportare se utilizziamo aggregati di natura plastica (fino ad un massimo del 50%). M. Frigione e altri [10] hanno constatato come granuli di PET (dalla forma arrotondata e dimensioni inferiori a 4.75 mm) siano così flessibili da far sì che i provini di calcestruzzo confezionati con tali aggregati mantenessero la loro forma anche dopo il carico di rottura a flessione, senza spaccarsi di colpo in due pezzi ma manifestando crepe e fessure via via maggiori e conservando la loro conformazione per molto più tempo prima di disintegrarsi. Gli studi e le ricerche di K. Hannawi e altri [15] hanno confermato questo comportamento, prospettandone un possibile impiego per calcestruzzi sottoposti a carichi ricorrenti, tipo i calcestruzzi per le pavimentazioni.


Considerazioni finali


L’impiego di aggregati artificiali provenienti da rifiuti di materie plastiche può essere senza dubbio una valida alternativa al loro smaltimento via conferimento in discarica o nelle miscele solide per materiale da termodistruzione. Oltre agli esempi presi in considerazione in questa panoramica, si potrebbe considerare utile un loro impiego per produrre mattoni in calcestruzzo, elementi decorativi e non strutturali. Per impieghi in calcestruzzo strutturale, se ne può considerare l’utilizzo là dove non sono necessari particolari requisiti di durabilità e performance: un 20% in luogo dell’aggregato naturale potrebbe essere un quantitativo accettabile per non compromettere eccessivamente le proprietà meccaniche e contemporaneamente massimizzarne l’impiego.



BIBLIOGRAFIA

[1] N. Saikia, J. de Brito, Waste Polyethylene Terephthalate as an Aggregate in Concrete, Materials Research 16(2), (2013), 341-350.

[2] A.M. Mustafa Al Bakri, S. Mohammad Tamizi, A. R. Rafiza, Y. Zarina, Investigation of HDPE Plastic Waste Aggregate On The Properties Of Concrete, Journal of Asian Scientific Research, 1(7) (2011), 340-345.

[3] T.R. Naik, S.S. Singh, C.O. Huber and B.S. Brodersen, Use of post-consumer waste plastics in cement-based composites, Cement and Concrete Research vol. 26, no. 10 (1996), 1489-1492.

[4] Z. H. Lee, S. C. Paul, S. Y. Kong, S. Susilawati and Xu Yang, Modification of Waste Aggregate PET for Improving the Concrete Properties, Advances in Civil Engineering, Volume 2019.

[5] Z.Z. Ismail and E.A. Al-Hashmi, Use of waste plastic in concrete mixture as aggregate replacement, Waste Management 28 (2008), 2041-2047.

[6] C. Albano, N. Camacho, M. Hernández, A. Matheus and A. Gutiérrez, Influence of content and particle size of waste pet bottles on concrete behavior at different w/c ratios, Waste Management 29 (2009), 2707–2716.

[7] K. S. Kumar and K. Baskar, Recycling of E-plastic waste as a construction material in developing countries, Journal of Material Cycles and Waste Management 17 (2015), 718–724.

[8] Y-W.Choi, D-J. Moon, J-S. Chung, S-K. Chod, Effects of waste PET bottles aggregate on the properties of concrete, Cement and Concrete Research 35 (2005), 776–781.

[9] M. Frigione, Recycling of PET bottles as fine aggregate in concrete, Waste Management 30 (2010), 1101-1106.

[10] M. Frigione, M. E. Kangavar, W. Lokuge, A. Manalo, W. Karunasena, Investigation on the properties of concrete with recycled polyethylene terephthalate (PET) granules as fine aggregate replacement, Case Studies in Construction Materials 16 (2022).

[11] A.M.K. Najjar, E.A. Basha, M.B.K. Milad, Rigid Polyvinyl Chloride Waste for Partial Replacement of Natural Coarse Aggregate in Concrete Mixture, International Journal of Chemical and Environmental Engineering, Volume 4, No.6 (2013), 399 – 403.

[12] S. Osubor, K. A. Salam and T.M. Audu, Effect of Flaky Plastic Particle Size and Volume Used as Partial Replacement of Gravel on Compressive Strength and Density of Concrete Mix, Journal of Environmental Protection 10 (2019), 711-721.

[13] B. Balasubramanian, G.V.T. Gopala Krishna and V. Saraswathy, Investigation on Partial Replacement of Coarse Aggregate using E-Waste in Concrete, International Journal of Earth Sciences and Engineering Vol. 09, No. 03, June (2016), 285-288.

[14] Tamrin, Nurdiana J., The Effect of Recycled HDPE Plastic Additions on Concrete Performance, Recycling (2021), 6, 18.

[15] K. Hannawi, S. Kamali-Bernard, W. Prince, Physical and mechanical properties of mortars containing PET and PC waste aggregates, Waste Management 30 (2010), 2312-2320.

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